Archive for the 'Modelli di business' Category

Musica free dai Nine Inch Nails

Anche i NIN, dopo altri gruppi, rilasciano il loro nuovo album via Internet e gratis.

In formato mp3, flac, m4 apple e wave 24/96; viene richiesto solo un indirizzo email dove ricevere il link per il download. I file più grandi sono scaricati attraverso un file torrent.

link al sito

Cosa succede ? E’ veramente una tendenza o si tratta solo di episodi limitati a gruppi che possono permetterselo ?

Da un lato c’è chi vende brani musicali per i cellulari a oltre 2 euro a brano, dall’altro chi rilascia tutto in modo free, con in mezzo l’onnipresente iTunes. Come si configurarà l’acquisto e la distribuzione dei contenuti digitali ? Una bella gatta da pelare per le case discografiche. Chi sarà il prossimo a regalare l’album ?

Significa che gli introiti per gli artisti devono arrivare dagli spettacoli e altro, come se il core business diventasse i servizi accessori… come se si regalasse il software e si facessero pagare i servizi a valore aggiunto… come se si regalasse l’iptv sperando che gli utenti acquistino contenuti aggiuntivi…

Sembra proprio una tendenza inevitabile.

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Wall Street Journal diventa gratuito, anzi no a pagamento

wall street journal

Tempo fa, prima ancora di aver acquisito il giornale, Murdoch affermò che il modello free sarebbe arrivato anche il Wall Street Journal (vedi post).

Sembra invce che il modello a pagamento rimarrà e verrà sviluppato ulteriormente, come ha fatto sapere PaidContent.

Vedremo che cosa succederà a breve. Senza dubbio saranno allargate le aree gratuite e inseriti nuovi servizi che permettano di aggiungere valore a quelli a pagamento.

In effetti, l’informazione tematica come quella finanziaria ha possibilità di sviluppare un’offerta pay molto interessante. Dal punto di vista pubblicitario, il target raggiunto dal WSJ gli permette di vendere a circa quattro volte rispetto ai normali siti la pubblicità online.
Per esempio, la pubblicità video è venduta a 90 dollari (CMP) mentre siti generalisti sono sui 20 dollari.
Chiaro che questo è un prezzo di listino ma l’audience del WSJ è senza dubbio di pregio.

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TV online, Hulu ed i nuovi modelli

Hulu è una delle iniziative più interessanti avviate dai broadcaster americani. Lo è semplicemente perché ha i contenuti che hanno un valore come i telefilm della Fox e della CBS. Oltre a questo c’è un nuovo spirito con il quale è stato creato il portale di Hulu: raggiungere l’audience più grande possibile.

Veoh, OpenHulu e TVParadise sono alcuni dei siti che ripropongono i contenuti di Hulu senza avere accordi di ridistribuzione – nel senso che embeddano i contenuti di Hulu sui propri siti – e la novità è che Hulu non sembra particolarmente preoccupata dalla cosa… il suo interesse è distribuire, quindi se c’è qualcuno in grado di aiutarla, tanto meglio… beh non c’è che dire un bel cambiamento rispetto al passato.

Addiritttura OpenHulu e TVParadise suggeriscono agli utenti che non sono negli Stati Uniti (i contenuti di Hulu sono disponibili solo nel territorio americano per ovvie questioni di vendita di diritti all’estero) come aggirare l’ostacolo geografico.

Fra gli altri, siti come AOL e MySpace hanno invece stipulato accordi con Hulu e da questi portali.

MyspaceHulu

Si sta configurando sempre più la nuova filiera distributiva dei contenuti video online derivati dalla tv tradizionale. I detentori dei contenuti mettono a disposizione le library ad aggregatori in una modalità sempre più aperta, in completa filosofia web: nessun accordo, nessuna cessione di diritti. Ti offro i miei contenuti per raggiungere la maggior audience possibile con due obiettivi principali:

  • faccio conoscere i miei contenuti (e attiro audience sul media tradizionale)
  • sperimento modelli pubblicitari di raccolta diretta, ti offro il video ma mi riservo il potere di inserire l’adv (es. Hulu); indiretta, ti affido il contenuto e la raccolta in ottica revenue sharing (es. YouTube)

Le revenue di Hulu sono suddivise in questo modo: 70% al detentore del contenuto, 20-30% a Hulu, 10% all’aggregatore (se esiste).

Invece, nel caso di YouTube penso che chi detiene i diritti abbia una fetta molto più ridotta di share… ma non mi risulta che Google ti dica esplicitamente quanto ti da in percentuale sulla raccolta; chissà RAI quanto ha incassato dai filmati inseriti su YouTube.

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Anche il Wall Street Journal diventa free

wall street journal

Secondo le dichiarazioni di Murdoch di questi giorni, anche il Wall Street Journal diventerà gratuito. Quindi continua la tendenza al free nell’editoria dopo Financial Times e New York Times.

Murdoch ha recentemente acquisito il Wall Street Journal – l’acquisizione da parte del Gruppo di Murdoch non è ancora operativa- e mi chiedo anche se apriranno la pagina WSJ su MySpace …ma magari c’è già e non l’ho vista.

La versione online del WSJ ha quasi un milione di abbonati, in forte crescita negli ultimi mesi; da tenere conto che abbonarsi alla sola versione online costa 79dollari, quindi si tratta di una discreta entrata che verrà abbandonata a favore della crescita dell’audience (sufficiente a garantire entrate pubblicitarie superiori) grazie alla possibilità di attrarre un’audience globale.

Quindi, la corsa verso il Free sembra inarrestabile… non è certo un caso se il nuovo libro di Chris Anderson si focalizzarà proprio sul tema del “Free”.

Infatti, il discorso del gratuito è molto legato alla globalizzazione dell’audience; molte iniziative si basano sulla capacità di catalizzare una massa di utenti che non è limitata a livello nazionale… e quindi possono sperare di “vivere” con la pubblicità. A livello locale, in lingua non inglese, le possibilità di sviluppo si riducono drasticamente…

E’ divertente considerare come Internet porta alla creazione di Hit nell’ambito delle lingue… l’inglese a causa dell’ “effetto rete” diventa lingua obbligatoria per una fetta estesa di navigatori… la curva tende a concentrarsi verso l’alto.

Technorati Tags: , Financial Times, New York Times, , Chris Anderson

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Fastweb MyMediaCenter: finalmente qualcosa di interessante

L’offerta di IPTV di Fastweb ha sempre fatto fatica ad affermarsi. Se non erro, dichiarano dal alcuni anni più o meno lo stesso numero di abbonati al servizio TV (meno di 200mila).

Finalmente ho letto che il nuovo set top box permette di visualizzare sul televisore i contenuti che si hanno sul PC: una specie di Apple TV.

In Europa, mi risulta esserci solo Free (in Francia) che permette di fare qualcosa del genere ma potrebbe esserci anche qualche piccolo operatore che mi è sfuggito.

Spero di approfondire e toccare con mano il nuovo servizio che si chiama MyMediaCenter; con la speranza che i limiti non superino le buone intenzioni.

fastweb bridge tv

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L’iPlayer della BBC si prepara ad invadere il mondo ?

BBC

La BBC vuole diventare più importante all’estero e quindi ha avviato un piano strategico di sviluppo dei propri canali internazionali che tipicamente vanno a finire sulle piattaforme pay tv ma anche dei contenuti online distribuiti attraverso il servizio di catch up chiamato iPlayer (che fondamentalmente permette di accedere alla programmazione di BBC degli ultimi 7 giorni).
Ad oggi, i contenuti della BBC attraverso il famoso iPlayer sono disponibili solo per i residenti in UK (servizio pubblico pagato col canone e quindi gratuiti senza pubblicità) ma l’intenzione è quella di rendere disponibili i propri contenuti anche in altri Paesi; non ho capito se con pubblicità o anche una modalità pay.

Si partirà dagli Stati Uniti (anche perché è il mercato più interessante sia online che offline), in Europa partiranno con la Polonia a dicembre ma anche l’Italia sembra prevista.

per approfondire c’è un articolo sul Guardian

La notizia arriva dopo che è stato annunciato l’utilizzo anche di flash per il player online: la BBC aveva ricevuto molte proteste a causa dell’utilizzo della piattaforma Microsoft che limita l’audience a causa del suo legame con Windows.

Vedremo cosa accadrà: è chiaro che l’iPlayer è un concorrente di servizi alla Joost – indirizzati cioè ad un’utenza internazionale – ma i contenuti sono di prima qualità.

Inoltre, da poco è stato anche approvato l’inserimento della pubblicità su sito bbc.com e prevedono di raccogliere oltre 100 milioni di euro (mi sembrano molti ma in effetti hanno la possibilità di far fruttare contenuti quasi infiniti).

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NetTV: client o browser ?

Ci sono due correnti di pensiero nella fruizione dei contenuti video. Lo scorso anno sembrava che la NetTV andasse verso una fruizione da client (Joost, Babelgum, iPlayer BBC, Adobe Media Player), per sfruttare funzionalità, qualità, controllo dell’utente e tecnologie (P2P) che il browser non sembrava adatto a garantire.

Joost logo

Negli ultimi mesi le iniziative via browser si sono moltiplicate, sia da parte dei broadcaster (soprattutto negli Stati Uniti), sia da parte di start up (in Italia fra le altre, N3TV, StreamIT, Glomera, CrossCast, RiflettoTV, Intruders TV… ormai decine, anche se molte in ottica Blog TV più che NetTV). Inoltre, l’effetto vortice di YouTube ha fatto abituare i navigatori a fruire in modo semplice, senza bisogno di scaricare client particolari. Anche perché l’elemento di vantaggio della distribuzione attraverso P2P sembra essere stato ridimensionato.

Rivideo mediaset

Tempo fa avrei detto che il browser è un “telecomando” generalista con contenuti da UGC a semi-pro, mentre il client è un “telecomando” più specializzato, più vicino ad un modello Pay TV con contenuti pro. Ovviamente le cose non sono così nette.

E’ chiaro che Joost ha un vantaggio dal punto di vista dei contenuti, grazie al fatto di essere partito per primo: oltre 15mila programmi e 250 “canali”, se così si possono chiamare. E’ senza dubbio il nuovo broadcaster/aggregatore con la qualità più alta, sebbene l’appeal per un utente italiano è ancora basso. In questo senso è chiaro che esistono opportunità importanti per i mercati nazionali, mentre il target degli utenti “sovranazionali” (circa 100 milioni di persone) è già troppo presidiato.

In generale, la NetTV si caratterizza ancora per contenuti di scarsa qualità, con l’esclusione dei broadcaster che ovviamente non hanno questo problema ma sono quelli più in ritardo nel comprendere le dinamiche del nuovo paradigma della televisione online. Quando vedo una nuova iniziativa ho sempre l’impressione che l’idea sia stata quella di partire in fretta, con la speranzache qualcuno – che abbia veramente i contenuti o che possa investire – prima o poi decida di acquistare la piattaforma per una somma congrua. Altrimenti non si spiegano tutte le iniziative che (mi spiace dirlo) hanno poco senso dal punto di vista economico, mentre se considerati in un’ottica di innovazione/sperimentazione è una gioia vedere start up interessanti anche in Italia.

Infine, mi aspetto di vedere (in realtà ci sono stati già annunci in questo senso) i client migrare su device e set top box per consentire una fruizione dal televisore.

Detto tutto ciò ci sono gli outsider come HP (che ha lanciato una propria televisione Next.TV) e Sony (che si sta muovendo per offrire i contenuti video da internet sui propri televisori) che non sono certo innocui…

HP next.TV

Per quanto riguarda i modelli di business, invece sembra non ci sia storia e non può essere altro che gratuito (a parte generi molto particolari e di nicchia); che può significare che si trova il modo di sussidiare un business collaterale, oppure si deve avere un’audience sufficiente che supporti la pubblicità.

Il problema è che a livello nazionale un audience estesa online è difficile da mettere assieme, o almeno può essere sufficiente per finanziare una start up di poche persone, non certo un big player del settore media/editoria esistente.

RCS, Espresso, De Agostini… tutti hanno sempre più interesse per il budget della pubblicità TV (che ricordiamo scende di circa il 2,5%) … vedremo se e come si butteranno nella mischia anche se i ritorni non sono nel breve.

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Apple iPhone si, iPhone no

Nelle ultime settimane le voci sui problemi (non solo dell’Italia) a far partire l’offerta iPhone si sono moltiplicate.

In particolare, le questioni aperte sono state:

  • il modello di revenue sharing imposto da Apple che in pratica richiede una percentuale sul valore dell’utente (il 10% di tutto quello che si fattura all’utente) ma non mi è completamente chiaro fino a dove ci si spinga
  • i problemi legati alla regolamentazione nazionale, i telefoni devono poter essere sbloccati prima o poi e Apple è ovviamente contraria dato il modello di business
  • la disponibilità del device (sembra non ce ne siano abbastanza per tutti).

Su Affari e Finanza di oggi si afferma (articolo di Stefano Carli) che è stato proprio quest’ultimo (la mancanza di scorte) il problema alla base dell’accordo Apple-TIM; sembra che gli uomini di Ruggiero volessero inserire una penale sulla disponibilità di device e quelli di Apple abbiamo abbandonato il tavolo… mah … chissà quale sia quella vera.

Le richieste, dal punto di vista economico, di Apple mi sembrano veramente esose. Vale veramente così tanto l’iPhone ? A me non sembra.

La mancanza di scorte a causa del lancio in più Paesi e del successo in USA, potrebbe essere una motivazione valida al ritardo dell’introduzione, ma addirittura far saltare un accordo con l’operatore ? Mah

Anche in Francia mi risulta esserci un problema legato alla necessità di aprire il cellulare agli utenti, quindi se l’accordo è stato fatto con i francesi mi sembra strano non poterlo replicare in Italia. E’ chiaro che se un utente abbandona l’operatore con cui esiste l’esclusiva (che sia dopo i 24 mesi oppure sbloccandolo), Apple non riceverà più la sua fetta di revenue, ma è altrettanto probabile che l’utente non potrà più beneficiare dei servizi a valore aggiunto offerti dall’iPhone (ma la gente lo vuole per i contenuti o i servizi aggiuntivi ? Probabilmente no).

Sarà una o tutte queste le motivazioni non è ancora chiaro, il dato di fatto è che in Italia non arriverà a breve, almeno sembra.

iPhone

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